La linea tesa tra Chiesa e Repubblica di Pio XII e De Gasperi

Lo storico porta alla luce la quantita di interlocutore impegnati nella gestione di un dossier fondamentale. E la sostanziale autonomia impressa da De Gasperi
Cesare Catananti ricostruisce per la prima volta sui documenti vaticani i rapporti tra Santa Sede e Stato italiano, tra ingerenze, resistenze e lucida visione

 Il libro / Il dopoguerra visto da Oltretevere

Pubblichiamo alcune pagine della prefazione di Andrea Riccardi al volume di Cesare Catananti L'Italia vaticana. L'egemonia della Chiesa di Pio XII sulla Repubblica (San Paolo, pagine 420, euro 25,00).
Basato su fonti d'archivio da poco tempo disponibili agli studiosi, è il racconto della stagione del primo dopoguerra quando uscita dal ventennio della dittatura fascista e dalla tragedia della guerra, tra la liberazione, la scelta per la Repubblica, la stesura e approvazione della Costituzione, e l'avvio della vita democratica, l'Italia visse anni di tensioni in cui la Chiesa svolse un ruolo attivo, tra costruzione di una "società cristiana", spinte della modernizzazione e controegemonia comunista
 
Non si può conoscere a fondo l'Italia del secondo dopoguerra senza considerare il ruolo del papa, della Santa Sede, della Chiesa. Questo ruolo è stato spesso percepito, nell'immediatezza delle vicende politiche, come l'intromissione vaticana nella politica italiana. Con toni severi, Ernesto Rossi e tanti laici radicali denunciavano il pericolo di un'egemonia vaticana sulla giovane Repubblica.
Sicuramente il profilo dello Stato italiano è assai particolare, tanto diverso dalla laica Francia, ma anche dalla Spagna di Franco, considerata sulle pagine della "Civiltà Cattolica", rivista gesuitica con carattere ufficioso, molto vicina al modello cattolico, specie nel trattamento dei culti non cattolici. L'Italia era il paese della Chiesa? Era la "nazione cattolica"?
Ricordo il mio amico Valdo Vinay, pastore valdese, discepolo di Karl Barth, quando mi raccontava con rabbia e dispiacere che il ministro dell'Interno, Scelba, ricevette la Tavola valdese, supremo organo di questa Chiesa evangelica italiana, in piedi e in maniche di camicia, in segno di poca considerazione. Lo stesso Vinay, predicatore domenicale nella comunità valdese di Ferentino, nel Lazio, ricevette avvertimenti dalle autorità di polizia per questa sua, del tutto lecita, attività.
Arturo Carlo Jemolo, illustre giurista, tutt'altro che un polemista, attento studioso dei rapporti tra Chiesa e Stato, ha fotografato bene questa situazione italiana, così particolare. Ne parla come di un "regime clericale". Così scrive (e mi si perdonerà la lunga citazione, necessaria a ricordare un tempo lontano, da molti non vissuto o dimenticato): «...puntigliosa e estensiva applicazione del Concordato, molestie, per non usare il vocabolo troppo grave di persecuzione, ai pur innocui tentativi di proselitismo di testimoni di Geova e pentecostali, soprattutto manifestazioni esteriori, esercizi spirituali in Quaresima nei ministeri, sindaci con sciarpa e gonfalone alle processioni, ragazzi accompagnati in chiesa dai loro maestri o professori alla richiesta di un parroco perché partecipassero ad una messa..., soldati accompagnati dai loro sottufficiali, in drappello, alla messa domenicale, benedizione di ogni locale che s'inaugurasse anche se non aveva nessuna destinazione religiosa, come un'agenzia di banca».
Chi come me, seppure giovane, ha conosciuto quel periodo, ricorda bene l'evidente presenza della Chiesa e dei suoi ministri nella vita sociale e pubblica del paese, quasi espressione che la religione cattolica era la religione degli italiani e quella ufficiale dello Stato. Non si dimentichi però che l'Italia era un paese cattolico, la cui identità era uscita rafforzata dal dramma della guerra, in cui Pio XII - come alcuni vescovi - aveva grandeggiato nella figura di
defensor civitatis nel vuoto lasciato dal governo regio e sotto l'oppressiva occupazione nazista, che godeva della collaborazione fascista italiana. Non si dimentichi però che quella della Chiesa, sebbene forte della storia e di un grande radicamento nel popolo, dopo la guerra e con la democrazia non era l'unica presenza sociale: il Partito Comunista, il più grande dell'Europa occidentale, poteva contare su una vasta organizzazione sociale e su una forte ramificazione nella società.
La società italiana della Repubblica non è grigia, solo egemonizzata dalla Chiesa, ma rappresenta un terreno vivace di confronto tra presenze sociali e aggregative differenti e concorrenti. Il che era sentito dalla Chiesa anche come una temibile sfida, specie dopo che, durante la guerra, si era rivelata "madre della nazione" (così si era sentita) con l'aiuto alla gente e con l'esercizio di un ruolo sociale nel vuoto politico.
In realtà conosciamo solo in parte il dibattito che si svolgeva nel mondo vaticano e le preoccupazioni che abitavano il papa e i suoi collaboratori rispetto all'Italia. Innanzi tutto non vi era unanimità di opinioni e di priorità. La posizione del sostituto Montini, vicino a De Gasperi anche per storia familiare, era molto differente da quella del cardinale Ottaviani. Quella di Pio XII era ancora un'altra. Tuttavia le carte vaticane di questo periodo sono state chiuse fino a non molto tempo fa.
Il valore di questo libro di Cesare Catananti è proprio quello di essersi fondato su una ricerca sistematica negli archivi vaticani, dopo l'apertura voluta da papa Francesco, che permette di illuminare dettagliatamente la visione della Santa Sede. Cesare Catananti, che ha pubblicato un interessante libro su Il Vaticano nella tormenta (illustra la condizione della cittadella del papa durante l'occupazione nazista di Roma) e un illuminante volume su una delle pagine più controverse e meno conosciute di quel periodo, la scomunica dei comunisti da parte del Sant'Offizio nel 1949, oggi - con questo libro - offre la prima ricostruzione della politica papale e vaticana verso l'Italia, fondata sulla documentazione vaticana. Mette in luce quanto numerosi fossero gli interlocutori vaticani e quanti uomini e istituzioni fossero impegnati nella gestione di un dossier che era prioritario per Pio XII.
Uno dei motivi che preoccupavano alcune autorità vaticane, al tempo delle decisioni di papa Francesco sull'apertura degli archivi del periodo pacelliano, era proprio la documentazione delle tante interferenze vaticane, anche minori, nella politica italiana. Che figura avrebbe fatto la Chiesa? Ma questa è storia.
Una tra tutte le azioni vaticane riguarda la vicenda del monumento a Mazzini che campeggia a Roma sull'Aventino, rivolto al Circo Massimo: «Quel monumento... - scrive l'Autore - costituiva un vulnus per la Santa Sede». La Santa Sede chiede che la tiara pontificia calpestata dai corsieri repubblicani, rappresentata nel basamento del monumento, venga tolta. Così i festeggiamenti mazziniani del 1949 sono visti «con molto sfavore» dalla Segreteria di Stato, perché riguardano una personalità che ha preconizzato «nella caduta del potere temporale, un rapido tramonto del papato, come istituto religioso e spirituale».
Tuttavia queste ingerenze non sono l'aspetto più importante, anche se svelano una larga storia di pressioni sul governo De Gasperi, per cui il sostegno repubblicano, liberale e socialdemocratico era determinante. Al di là delle interferenze, la Chiesa e il papa sostengono la nascente e fragile democrazia italiana. La ricostruzione di Catananti ci restituisce la storia di una "sponda" del Tevere nella sua interazione con l'altra "sponda", quella dell'Italia repubblicana [...]. Essere un Paese cattolico poteva significare un riconoscimento pubblico della Chiesa, ma non spiegava in tutto l'intromissione vaticana e ecclesiastica in politica, anche perché la Chiesa aveva i suoi uomini (laici) in posti di grande responsabilità. Infatti gran parte delle pressioni si rivolgono agli uomini della Chiesa, ai democristiani, talvolta con l'implicita o esplicita accusa di tiepidezza.
Giovanni Spadolini, che ha vissuto questa storia e che ne ha scritto con vivacità, ha parlato di un "Tevere più largo". Diverse misure si sono attribuite (simbolicamente) alla larghezza del fiume che attraversa Roma: per alcuni era troppo stretto, causa l'ingerenza vaticana; per altri aveva la misura giusta; per altri infine quella possibile. La critica all'intromissione clericale, la constatazione del regime cattolico e via dicendo non tiene conto di quella che Alcide De Gasperi, fondatore della DC, chiama la sua "storia segreta", quella dei suoi difficili rapporti con il Vaticano di Pio XII: il leader democristiano, convinto cattolico, rivendicava però l'autonomia dei politici nel dettare la linea di governo, pur ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa.
È una storia sofferta. A un Vaticano, ad esempio, che chiedeva tramite un inviato del papa maggior fermezza verso il PCI (per alcuni settori vaticani, la messa fuori legge del partito), De Gasperi risponde: «Non va dimenticato che una percentuale dal 35 al 40 per cento degli elettori italiani ha votato social- comunista: come si può prendere di petto oggi il comunismo in Italia? Sarebbe la guerra civile, forse la guerra vera e propria». Al Vaticano, che chiede la censura preventiva sulla stampa per l'infanzia, De Gasperi risponde che «non ha molta fiducia sulla virtù moralizzatrice di una siffatta legge e delle leggi in genere...». Il leader crede più a un'azione della Chiesa e dei cristiani nella società, che a un costume che venga imposto dall'alto o dalla legge.
Lo sguardo vaticano sull'Italia era condizionato anche dalla storia dei suoi dirigenti, quasi tutti italiani, che avevano vissuto il ventennio fascista, non senza difficoltà, ma abituati a un conformismo sociale dettato dallo Stato. L'Italia democratica era diversa: qui si correva il rischio della libertà, ma anche si viveva l'opportunità che essa offriva alla Chiesa stessa, la quale aveva conosciuto durante il fascismo limitazioni e, allo stesso tempo, privilegi. De Gasperi non era pessimista sull'Italia e mandava questo messaggio a Pio XII: egli «era persuaso della gravità della situazione. Non la riteneva però disperata: la lotta sarà dura, ma le forze sane avranno il sopravvento».
C'era un grande lavoro di ricostruzione da fare, di crescita sociale da realizzare, di educazione da diffondere, di livello economico della vita di tanti da innalzare [...]. La politica degasperiana fa evolvere la DC da "partito cattolico" o partito della Chiesa, come nasce oggettivamente e resta per buona parte del suo consenso elettorale, a partito della nazione o partito italiano, come ha ben messo in luce Agostino Giovagnoli. De Gasperi risponde chiaramente a monsignor Pavan, inviatogli riservatamente da Pio XII per raccomandargli una maggiore opposizione al comunismo e un'apertura al Movimento Sociale Italiano, come baluardo all'avanzata della sinistra. Le sue parole sono «tra lo scherzoso e il melanconico: "S'immagini, monsignore, se non mi impegno a fondo: qualora dovesse avere il sopravvento il comunismo... il primo ad essere impiccato sarei io!"»
 

[ Andrea Riccardi ]