Migranti
L'iniziativa della Comunità di Sant'Egidio insieme alle Chiese Evangeliche, alla Tavola Valdese e alla Cei-Caritas, si è rivelata un modello vincente anche per altri Paesi europei, come il Belgio e la Francia. La vulnerabilità dei beneficiari rappresenta il criterio centrale nell'identificazione dei destinatari di tutti i corridoi: famiglie con bambini piccoli, anziani e persone con problemi di salute, provenienti da aree di crisi o conflitto.
Aeroporto internazionale di Zaventem, Bruxelles. Sono le 18.30 del 12 febbraio e tra gli sguardi incuriositi dei viaggiatori si ripete una scena che commuove sempre. Un gruppo di persone, con un indicibile carico di dolore sulle spalle, viene accolto con mazzi di fiori e un grande applauso. È il momento dell'arrivo dell'ultimo gruppo - 46 persone - del corridoio umanitario che ne ha portate 400 in Belgio, dal 2017 ad oggi.
I corridoi umanitari sono una risposta legale al dramma umanitario delle migrazioni forzate. Un'idea nata in Italia per iniziativa della Comunità di Sant'Egidio insieme alle Chiese Evangeliche, alla Tavola Valdese e alla Cei-Caritas. Si è rivelata un modello vincente anche per altri Paesi europei, come il Belgio e la Francia. Sono 8 mila in tutto le persone arrivate, tra Italia, Francia e Belgio. Poche, se confrontate col problema migratorio globale, tante se si pensa che hanno trovato sicurezza, cure mediche, scuole per i figli, opportunità di lavoro.
Ne parliamo con Jan De Volder, della Comunità di Sant'Egidio a Bruxelles e coordinatore dei corridoi umanitari in Belgio. De Volder ha una cattedra in Religione, conflitto e pace all'Università cattolica di Lovanio ed è coinvolto in prima persona in vari processi di pace.
L'idea nasce nel 2015, l'anno della grande crisi migratoria, che ha coinvolto tutto il Mediterraneo, con oltre un milione di persone in fuga principalmente da Siria, Afghanistan e Iraq. Quella dei corridoi è un'idea geniale nella sua semplicità. Vi racconto un piccolo fatto a conferma di questo. Stavamo guardando la TV con mio figlio che allora aveva 13 anni. Vedevamo queste immagini drammatiche, e lui esclama: "Perché non li andiamo a prendere?". Infatti, una volta messo piede sul territorio europeo, la persona in fuga da un Paese in guerra ha diritto all'asilo. Il problema è proprio mettere piede sul suolo europeo. Se sappiamo che è un loro diritto, perché non rendere il loro viaggio sicuro, anziché lasciarli in balia di imbarcazioni di fortuna, e nelle mani di commercianti di uomini?
L'idea nasce nel 2015, l'anno della grande crisi migratoria, che ha coinvolto tutto il Mediterraneo, con oltre un milione di persone in fuga principalmente da Siria, Afghanistan e Iraq. Quella dei corridoi è un'idea geniale nella sua semplicità. Vi racconto un piccolo fatto a conferma di questo. Stavamo guardando la TV con mio figlio che allora aveva 13 anni. Vedevamo queste immagini drammatiche, e lui esclama: "Perché non li andiamo a prendere?". Infatti, una volta messo piede sul territorio europeo, la persona in fuga da un Paese in guerra ha diritto all'asilo. Il problema è proprio mettere piede sul suolo europeo. Se sappiamo che è un loro diritto, perché non rendere il loro viaggio sicuro, anziché lasciarli in balia di imbarcazioni di fortuna, e nelle mani di commercianti di uomini?
I primi corridoi sono nati con la Comunità di Sant'Egidio in Italia, grazie a un accordo col governo italiano. E in Belgio come è andata?
Ci sembrava un modello che poteva funzionare non solo per l'Italia, ma per l'Europa. Si trattava di una risposta più umana a questo bisogno. C'erano le caratteristiche di urgenza e il carattere umanitario. Ne abbiamo parlato nel nostro Ufficio europeo, e poi al Parlamento europeo, alla Commissione, e naturalmente con gli interlocutori del governo belga, per capire se poter implementare quel modello anche qui in Belgio. Le negoziazioni sono andate avanti e abbiamo attivato due protocolli, nel 2017 e nel 2021, il primo per l'accompagnamento di 150 persone, il secondo per 250 persone. L'ultimo si è concluso a marzo di quest'anno.
Ci sembrava un modello che poteva funzionare non solo per l'Italia, ma per l'Europa. Si trattava di una risposta più umana a questo bisogno. C'erano le caratteristiche di urgenza e il carattere umanitario. Ne abbiamo parlato nel nostro Ufficio europeo, e poi al Parlamento europeo, alla Commissione, e naturalmente con gli interlocutori del governo belga, per capire se poter implementare quel modello anche qui in Belgio. Le negoziazioni sono andate avanti e abbiamo attivato due protocolli, nel 2017 e nel 2021, il primo per l'accompagnamento di 150 persone, il secondo per 250 persone. L'ultimo si è concluso a marzo di quest'anno.
Qual è la specificità dei corridoi umanitari del Belgio rispetto all'Italia?
Ogni Paese che partecipa al programma ha le sue particolarità; rispetto all'Italia, direi innanzitutto le provenienze. In Italia si sono fatti corridoi dall'Etiopia, dalla Libia. Il Belgio non ha un'ambasciata in Libia, quindi è stato tutto più complicato. I corridoi avvengono anche attraverso partnership importanti; in Italia, ad esempio, con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas. Da noi - e questo è stato abbastanza originale, e ne sono orgoglioso! - siamo riusciti a fare un accordo con tutte le religioni riconosciute in Belgio, riunite nel comitato Together in Peace. La vulnerabilità dei beneficiari rappresenta il criterio centrale nell'identificazione dei destinatari di tutti i corridoi: famiglie con bambini piccoli, anziani e persone con problemi di salute, provenienti da aree di crisi o conflitto. I candidati sono sottoposti a una rigorosa serie di colloqui, le autorità competenti effettuano controlli di sicurezza, mentre la Comunità di Sant'Egidio mantiene un dialogo costante con le istituzioni federali e l'Unhcr. Una volta arrivati, li aiutiamo a inserirsi. Per quanto ne sappia, i nostri sono ancora tutti in Belgio. Se la gente si è fermata, vuol dire che si è trovata bene. La nostra idea non è di accompagnarli tutta la vita, ma di renderli autonomi.
Ogni Paese che partecipa al programma ha le sue particolarità; rispetto all'Italia, direi innanzitutto le provenienze. In Italia si sono fatti corridoi dall'Etiopia, dalla Libia. Il Belgio non ha un'ambasciata in Libia, quindi è stato tutto più complicato. I corridoi avvengono anche attraverso partnership importanti; in Italia, ad esempio, con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas. Da noi - e questo è stato abbastanza originale, e ne sono orgoglioso! - siamo riusciti a fare un accordo con tutte le religioni riconosciute in Belgio, riunite nel comitato Together in Peace. La vulnerabilità dei beneficiari rappresenta il criterio centrale nell'identificazione dei destinatari di tutti i corridoi: famiglie con bambini piccoli, anziani e persone con problemi di salute, provenienti da aree di crisi o conflitto. I candidati sono sottoposti a una rigorosa serie di colloqui, le autorità competenti effettuano controlli di sicurezza, mentre la Comunità di Sant'Egidio mantiene un dialogo costante con le istituzioni federali e l'Unhcr. Una volta arrivati, li aiutiamo a inserirsi. Per quanto ne sappia, i nostri sono ancora tutti in Belgio. Se la gente si è fermata, vuol dire che si è trovata bene. La nostra idea non è di accompagnarli tutta la vita, ma di renderli autonomi.
Come sono cambiate le cose con l'adozione del nuovo patto sull'immigrazione dell'Unione Europea?
Negli ultimi anni l'Europa sembra sempre più impaurita, influenzata dai populismi. Certo, esistono problemi, ma criminalizzare i migranti in blocco è ingiusto. Chi sbaglia va punito, ma sono eccezioni, non la regola. La Commissione von der Leyen ha riconosciuto i corridoi umanitari - incoraggiandoli - come "iniziative private" (sebbene fossero frutto di collaborazione pubblico-privato). Con il nuovo Patto europeo, sembra esserci un'inversione di tendenza. Infatti, l'obiettivo attuale sembra essere quello di rendere sempre più difficile l'arrivo in Europa, sfruttando il controllo alle frontiere e in mare per scoraggiare le partenze. Queste politiche richiedono il consenso dell'opinione pubblica, e la paura viene spesso strumentalizzata per ottenerlo. Una politica responsabile dovrebbe pensare a lungo termine, rassicurando i cittadini e favorendo un dibattito equilibrato. La paura di perdere il controllo complica la gestione dei flussi migratori, ma la soluzione non può essere solo la chiusura delle frontiere. Se si costruisce un muro, bisogna aprire anche porte e finestre per affrontare davvero il problema.
Negli ultimi anni l'Europa sembra sempre più impaurita, influenzata dai populismi. Certo, esistono problemi, ma criminalizzare i migranti in blocco è ingiusto. Chi sbaglia va punito, ma sono eccezioni, non la regola. La Commissione von der Leyen ha riconosciuto i corridoi umanitari - incoraggiandoli - come "iniziative private" (sebbene fossero frutto di collaborazione pubblico-privato). Con il nuovo Patto europeo, sembra esserci un'inversione di tendenza. Infatti, l'obiettivo attuale sembra essere quello di rendere sempre più difficile l'arrivo in Europa, sfruttando il controllo alle frontiere e in mare per scoraggiare le partenze. Queste politiche richiedono il consenso dell'opinione pubblica, e la paura viene spesso strumentalizzata per ottenerlo. Una politica responsabile dovrebbe pensare a lungo termine, rassicurando i cittadini e favorendo un dibattito equilibrato. La paura di perdere il controllo complica la gestione dei flussi migratori, ma la soluzione non può essere solo la chiusura delle frontiere. Se si costruisce un muro, bisogna aprire anche porte e finestre per affrontare davvero il problema.
Vorrei concludere con una domanda un po' personale: c'è un ricordo o un momento forte di questi anni che l'ha segnata nel rapporto con queste persone o nella lotta per rendere possibile il loro arrivo?
Sì, sicuramente. Da un lato, c'è stato l'impegno politico per convincere i governi, un lavoro lungo e faticoso. Ma la felicità arriva quando le cose funzionano, perché dietro ogni decisione politica ci sono volti, storie, persone che attendono una possibilità di salvezza. Su un piano personale, il momento più emozionante è sempre quello dell'arrivo in aeroporto, quando i rifugiati escono dagli ascensori e vengono accolti con un applauso, con fiori, con qualche giocattolo per i bambini. Sono stato presente a ogni accoglienza dei gruppi che abbiamo fatto venire. È un modo così umano e dignitoso di arrivare in un nuovo Paese. Spesso queste persone hanno affrontato un viaggio estenuante, hanno lasciato tutto, in genere è la prima volta che prendono un aereo, o che mettono piede in Europa. E trovano qualcuno che li accoglie con calore. Questa è l'immagine che mi commuove sempre: l'idea che possano sentirsi accolti, al sicuro. Poi, ovviamente, inizia un nuovo percorso, con sfide e difficoltà, ma quel primo gesto di benvenuto resta impresso nelle loro vite.
Sì, sicuramente. Da un lato, c'è stato l'impegno politico per convincere i governi, un lavoro lungo e faticoso. Ma la felicità arriva quando le cose funzionano, perché dietro ogni decisione politica ci sono volti, storie, persone che attendono una possibilità di salvezza. Su un piano personale, il momento più emozionante è sempre quello dell'arrivo in aeroporto, quando i rifugiati escono dagli ascensori e vengono accolti con un applauso, con fiori, con qualche giocattolo per i bambini. Sono stato presente a ogni accoglienza dei gruppi che abbiamo fatto venire. È un modo così umano e dignitoso di arrivare in un nuovo Paese. Spesso queste persone hanno affrontato un viaggio estenuante, hanno lasciato tutto, in genere è la prima volta che prendono un aereo, o che mettono piede in Europa. E trovano qualcuno che li accoglie con calore. Questa è l'immagine che mi commuove sempre: l'idea che possano sentirsi accolti, al sicuro. Poi, ovviamente, inizia un nuovo percorso, con sfide e difficoltà, ma quel primo gesto di benvenuto resta impresso nelle loro vite.
[ Maria Chiara De Lorenzo ]